Dicembre 1862-Dicembre 2012 – Con I festeggiamenti appena conclusi per i cento cinquant’anni dell’Unità d’Italia si è ampiamente discusso del Risorgimento, di quei valori e di quegli ideali che avrebbero portato all’autodeterminazione ed il senso di appartenenza di un popolo ad una unica Nazione. |
Nell’analisi storica del periodo si è però tralasciato (credo) di menzionare l’aspetto finanziario (quanto mai d’attualità !) che il Risorgimento ha comportato per le casse del Regno di Sardegna e di conseguenza dello Stato Italiano.
Nel 1861 la situazione economica si poteva definire disperata, l’Italia appena costituita era sull’orlo della bancarotta; basti ricordare che il Regno di Sardegna dopo il fallimento della prima guerra di indipendenza (1848-1849) aveva dovuto risarcire l’Austria con ingenti somme di denaro lasciando le finanze del Regno allo stremo, così che un giornale di Torino poteva commentare ironicamente “Com’è larga la nostra ospitalità! Abbiamo offerto agli austriaci un ottimo alloggio gratuito ad Alessandria e qualche milione per le spese di trasloco”.
Successivamente con i trattati di Plombiers (20 luglio 1858) Vittorio Emanuele II, alfine di promuovere l’alleanza con la Francia e garantire il suo appoggio militare per iniziare la II guerra d’indipendenza si era impegnato con Napoleone III alla cessione di parte delle Contee di Nizza e della Savoia ed a sostenere economicamente tutti i costi della guerra (naturalmente anche a favore della Francia).
Infine il Regno di Sardegna nei dieci anni appena trascorsi aveva provveduto al riarmo dell’esercito con notevoli investimenti in campo militare.
Non per ultimo occorre ricordare i costi della Corte Sabauda (feste, festini e privilegi ad oggi paragonabili ai costi della politica) che incidevano pesantemente sulle finanze del Regno.
Dopo la morte di Cavour il 6 giugno 1861 il parlamento non riusciva più a trovare la sua centralità e stabilità, con una continua alternanza di governo. Nel mese di dicembre del 1862 il Governo Rattazzi nell’esporre in parlamento la grave situazione economica annunciava ulteriori spese ed un forte disavanzo pubblico con il consuntivo del 1862 e la previsione di bilancio per l’anno 1863 e fu costretto a dimettersi.
Vittorio Emanuele II per la formazione del nuovo Governo pensò di conferire l’incarico di Primo Ministro al Conte Ponza di San Martino, persona stimata e di fiducia (già Luogotenente del Re a Napoli nel 1861) e con ampia esperienza parlamentare (Ministro degli Interni nel Governo Cavour nel periodo 1852-1854).
Gustavo Ponza di San Martino nell’accettare l’incarico pose due condizioni al Re: risanamento immediato delle finanze delle Stato Italiano e forte riduzione delle spese di Corte. Per Vittorio Emanuele II ciò avrebbe comportato più niente guerre, privilegi e amori; si indigno dell’affronto in quanto un Ministro non poteva dettare simili condizioni ad un Re e lo destituì immediatamente.
L’incarico fu quindi affidato in data 8 dicembre 1862 ad altra persona più mite e compiacente, Luigi Carlo Farini che dopo poche settimane dalla nomina rivelò i sintomi di una grave malattia mentale che, tuttavia, venne celata per non allarmare un gruppo finanziario con cui il governo aveva avviato importanti trattative per un ingente prestito, dando così inizio al nostro debito pubblico.
Luigi Carlo Farini morirà in manicomio.
L’amara considerazione finale è che dopo cento cinquant’anni la situazione economica nazionale è pressoché invariata con il debito pubblico in costante crescita, ma ad oggi più nessun Dronerese, al pari di Gustavo Ponza di San Martino, può ambire ad alte cariche politiche e di Governo e porre simili condizioni ad un Re e/o Capo di Stato.
L.B.