Se ne è andato anche “Mario”, Vicecomandante della 104ª Brigata Garibaldi “Carlo Fissore” di Val Maira |
Il 3 dicembre 2012 è morto a Buenos Aires (Républica Argentina) l’antifascista dronerese Mario Blengino, Vice-comandante della 104ª Brigata Garibaldi “Carlo Fissore” lungo i mesi della Resistenza e, nel dopoguerra, imprenditore emigrato in Sud America.
Nato a Dronero il 29 ottobre del 1923 da Lorenzo e da Luigina Scaglione, giovane studente universitario (Facoltà di Veterinaria) e poi caporale nel 2º Reggimento Alpini durante il servizio militare, subito dopo l’8 settembre del 1943 era stato tra i primi a salire in montagna.
Con altri antifascisti droneresi, tra cui ci piace ricordare i fratelli Ernesto e Pietro ( “Diego” e Piero” da partigiani), Mario e Bruno Scaglione “Kid” (padre e figlio), Mario e Michele Giolitto (rispettivamente “Catone” e “Calogero”), Stefano Revelli “Steve”, Antonio Acchiardi “Nini”, Guido Campagno “Giari”, Mario Vorgnano “Cicerone”, Renato Faraudo “Ermes” ed il sottufficiale siciliano Biagio Nigido “Nigido”, a fine settembre Mario aveva contribuito a mettere in piedi ai Nulf, ai Fère e ai Béliard (borgate Nolfo, Ferre e Belliardi) alcune basi di uno dei primi distaccamenti partigiani di Val Maira.
Parte del gruppo, all’epoca non era ancora formalmente “garibaldino”, è ritratto frammisto ad alcuni civili in una fotografia scattata a Lemma (Rossana) il 31 dicembre del ‘43
Mario Blengino è a destra nella fila in piedi, proprio sotto la P della Locanda della Posta
Non conosciamo i dettagli di quell’azione iniziale, ma la fotografia -una immagine apparentemente piuttosto “tranquilla” al punto di comprendere anche il parroco di Lemma- lascia pensare ad una iniziativa felicemente risolta.
Al mese successivo, fine gennaio del 1944, risalgono i primi contatti con i distaccamenti garibaldini della Val Varaita (la futura 181ª Brigata Garibaldi ”Morbiducci”).
I ricordi in verità abbastanza vaghi di altri partigiani delle due valli tenderebbero a datare l’evento un po’ più avanti, diciamo a marzo, ma a collocarlo con esattezza in quel momento è proprio una lunga lettera di “Mario”: spedita da Buenos Aires e datata 10 febbraio 1996, ci ricorda che l’incontro, organizzato anche in virtù dei contatti politici di Mario Scaglione, ebbe luogo ai Béliard alla fine di gennaio.
I garibaldini della Varaita erano rappresentati da uno dei comandanti delle formazioni di “Barbato” (1), Carlo Broccardo “Moretta”, da uno dei commissari (“Mario” non ricorda bene se si trattasse di Ermes Bazzanini “Ezio” piuttosto che del fratello Armando) e dal partigiano Volcherio Savorgnan d’Osoppo “Chopin”, quest’ultimo caduto pochi mesi dopo in combattimento al Ponte di Valcurta: proprio lui, anni prima, era stato compagno ed amico di Blengino quand’erano entrambi convittori al Collegio San Filippo Neri di Lanzo Torinese.
Da quel primo contatto ebbe iniziò il progressivo avvicinamento del gruppo partigiano d’la Rocho (di Roccabruna) alla struttura politico-organizzativa dei Distaccamenti e delle Brigate d’Assalto “Garibaldi” piemontesi. Più avanti sarebbero arrivati in valle consistenti gruppi di volontari fossanesi, saviglianesi e cuneesi; più avanti ancora sarebbero nati i Distaccamenti del Battaglione ausiliario valligiano, fenomeno insolito e pressoché unico nell’insieme della Resistenza cuneese. Ma nel gennaio del ’44 la formazione, già alle prese con le prime azioni armate rivolte in prevalenza all’armamento ed al vettovagliamento, rimaneva sostanzialmente dronerese.
L’adesione del Distaccamento garibaldino della Val Maira (Comandante “Steve”, Vice-comandante “Mario” e primo Commissario politico pro tempore Scaglione padre), alla formazione varaitina venne ufficialmente sancito, dopo il rastrellamento germanico del 25 marzo 1944 quando -mentre si stavano seppellendo i primi caduti- arrivò in Valle quale Commissario Politico il torinese Walter Mandelli “Vanni” (2), un giovane studente di famiglia comunista che, dopo brevissima esperienza nei GAP e poi nelle formazioni garibaldine delle Valli di Lanzo, passa alle formazioni di “Barbato” nelle Valli Po, Infernotto e Luserna prima di raggiungere quelle della Varaita, inviato dal CMRP (Comando Militare Regionale Piemontese).
Il percorso partigiano di “Mario” è quanto più lineare possibile: dapprima capo-squadra nella embrionale struttura organizzativa degli inizi, poi Vice-comandante del Distaccamento garibaldino, è Vicecomandante del Battaglione che viene strutturandosi nei mesi estivi grazie al costante afflusso di volontari; poi dall’autunno del 1944 e fino al dopo Liberazione, è Comandante del Battaglione “Giaccone” e Vice-comandante della 104ª Brigata Garibaldi “Fissore”.
La Brigata nasce ufficialmente in autunno, quando riceve numerazione ed intitolazione definitive e quando il Commissario “Vanni”, che non aveva legato granché con il nucleo fondante di una formazione troppo dronerese, era già una meteora ormai lontana dalla Valle Maira.
Il suo posto era destinato ad essere occupato da un tosto quarantaquattrenne saluzzese originario di Villar San Costanzo, il saggio ed equilibrato Giuseppe Cavallera “Prufe”, poi “Copeco”.
Questi è un partigiano della primissima ora, reduce da un “apprendistato” periglioso e non particolarmente apprezzato nelle bande GL di Val Maira (in cui era arrivato ad essere considerato come un fastidioso e talvolta pericoloso “rompiballe”) e da un altro e più proficuo apprendistato, decisamente più apprezzato, come Commissario politico del Battaglione garibaldino “Giaccone”.
Nel frattempo “Mario” aveva avuto modo, tra luglio e agosto del ’44. di mettersi in luce in più di una circostanza per il coraggio sobrio e poco avventuristico che tutti poi gli riconobbero e che, tra le altre cose, gli sarebbe valso nell’ottobre del 1946 la proposta di una ricompensa, una medaglia d’argento al valor militare (3).
In aprile aveva anche guidato un’altra missione, in apparenza di scarsa risonanza guerrigliera ma di estrema utilità militare: un incarico poi rimasto nei cuori e nei ricordi di tutti coloro che vi presero parte: il recupero delle armi di ogni tipo, ma in particolare di armi un po’ più pesanti (mitragliatrici, fucili mitragliatori, munizioni, mortai d’assalto Brixia da 45 mm e persino un mortaio da 81 mm) dalle fortificazioni del cosiddetto Vallo Alpino ai confini con la Francia, su su nel vallone di Charvéto (Chialvetta), ai forti dell’Escalún e dell’Escaléto.
Nella circostanza, coadiuvati da un mulo di incerta origine (non sappiamo se precettato in valle o proveniente dall’ex Regio Esercito), erano con lui Bartolomeo Bruna Rosso “Franco” (di Chialvetta, futuro comandante della 177ª Brigata Garibaldi “Barale” operante tra bovesano e borgarino), Agostino Degiovanni “Riga”, Ermanno Giorsetti “Manno”, Giuseppe Marinetti “Pepi” (di Racconigi), Basilio Poetto “Baci”, Eligio Simondi “Gina” e qualche altro di cui sfugge il nome.
Poi, dopo tante altre vicende, molte delle quali luttuose e dopo il lungo e durissimo inverno 1944-45, giunsero la fine della 2ª Guerra mondiale e le tumultuose giornate della Liberazione. Alla festa grande d’aprile seguirono -quasi un brutto risveglio- i giorni del difficile reinserimento in una società che stava cambiando e che non sembrava molto propensa a riservare ai partigiani combattenti un trattamento grato e di favore.
Riemersero diffidenze solo in apparenza sopite e disparità di trattamento, umilianti ma non dissimili da quelle che, a guerra in corso, la miopia degli Alleati aveva riservato alla formazioni ritenute rosse: diffidenza e pochi, stentati aviolanci allora, diffidenza e poco lavoro dopo. Molti, troppi partigiani, figli e nipoti di antichi emigranti, si videro costretti all’espatrio; ciò successe anche ad alcuni dei non molti studenti che avevano combattuto nelle file garibaldine. Così fu anche per “Mario” che, dopo un tentativo di riprendere gli studi in Veterinaria, prese la via del Sud-America.
Certo, di tanto in tanto tornava, com’è successo a quasi tutti gli emigranti, ed ogni volta si ricreava quel certo clima che coinvolgeva soprattutto i “suoi” partigiani, quelli del “suo” battaglione e della Squadra volante. Per molti anni furono soltanto ricordi coltivati in allegria e dovette passare molto tempo prima che i ricordi, all’inizio degli anni’90, arrivassero ad assumere la valenza di una testimonianza utile a ricostruire tutta la complessa vicenda della formazione garibaldini.
Benché lontano ed a dispetto dei capricci della memoria, a quel testimoniare ed a quel ricostruire ebbe modo di partecipare anche il comandante “Mario”: conservo una sua lunga lettera in cui, oltre che rispondere a domande sui Commissari politici della 104ª Brigata, indica date, luoghi, eventi e persone che ne hanno fatto la storia, una storia che attende ancora di esser scritta se non altro per ricordare tutti quelli che come “Mario” se ne sono andati, ma che meritano ricordo e riconoscenza di chi è rimasto, perché hanno combattuto per la Libertà di tutti, per un mondo migliore e per la democrazia, un bene che oggi non tutti sanno apprezzare nella giusta misura.
Buon viaggio!
Gianpaolo Giordana
(1) Pompeo Colajanni “Nicola Barbato” (nato a Caltanissetta il 4 gennaio 1906 – deceduto a Palermo l’8 dicembre 1987). Siciliano, militante comunista ed ufficiale del Nizza Cavalleria nel Pinerolese, subito dopo l’8 settembre del ’43 sale in montagna con altri ufficiali e soldati del suo reparto e stabilisce le proprie basi a monte di Barge, sul Montoso, nelle Valle del Po e Luserna e nella pianura tra il Pellice e il Po. In contatto con la Federazione torinese (e con compagni come Ludovico Geymonat, Antonio Giolitti e un buon numero di dirigenti giunti da Torino tra i quali “Pietro” Comollo, “Mirko” Guaita, Dante Conte ed altri), riesce a dar vita ad una formazione garibaldina nel Cuneese le cui successive “filiazioni” assicureranno la presenza di formazioni Garibaldine tra il Po ed il bove san e nelle Langhe.
(2) Walter Mandelli “Vanni” nasce a Torino nel 1922 da Giovanni, emigrato brianzolo di origine contadina divenuto operaio fonditore e poi imprenditore, e da Giovanna Ardissone, una torinese progressista, iscritta al PCdI fin dalle origini e considerata dal Partito un punto d’appoggio imprescindibile per tutti gli anni del fascismo e della clandestinità. Il figlio è stato imprenditore, dirigente dell’Amma, di Federmeccanica e della Confindustria,ma anche militante antifascista e dirigente della Resistenza in Piemonte.
(3) La proposta di concessione della Medaglia d’Argento era stata presentata il 17 ottobre 1946
con tre firme prestigiose: quelle del Comandante della 104ª Brigata Garibaldi “Fissore” Stefano Revelli “Steve”e di due “vecchi” perseguitati antifascisti, il Commissario politico della XIª Divisione Garibaldi Cuneo” Ermes Bazzanini “Ezio” e il Commissario politico della Vª Zona partigiana cuneese, l’ ordinovista torinese e partigiano garibaldino Gustavo Comollo “Pietro”.